Osho, mistico contemporaneo, nei suoi insegnamenti scriveva: “Se sai come amare, saprai come separarti”. Ma non sempre è così. La frequenza con cui i titoli di cronaca sono sempre più legati ad abbandoni sentimentali ce ne dà conferma. Vite spezzate per mano di un ex. C’è chi cerca un alibi nel caldo, chi lo definisce un fenomeno di genere “sintomo del declino patriarcale” perché spesso sono gli uomini i protagonisti di questa cronaca. Uomini che posti di fronte la minaccia di un abbandono reagiscono con violenza pur di recuperare briciole di potere. Ma questi episodi di violenza che a volte esplodono all’improvviso, ci parlano pur sempre di storie e di persone le cui strade ad un certo punto s’incontrano. Ci parlano di vite spezzate da ferite profonde, di persone che cercano nella relazione una cura impossibile che non arriverà mai. Una cura che possa riparare carenze affettive che nascono da molto lontano. Spesso ci troviamo di fronte “adulti dipendenti” che fin da piccolissimi hanno avuto una “relazione di attaccamento” insicuro con la madre (o chi per essa), incapace di aiutarli a sperimentare la separazione in modo non traumatico. Questi, da adulti, proporranno all’interno della relazione amorosa quell’antica simbiosi materna mai raggiunta, cercando continua rassicurazione rispetto al terrore di poter perdere l’oggetto d’amore. Per loro amare ed essere amati significherà possedere completamente l’altro. Non riescono neppure ad immaginare di poter essere lasciati: l’altro deve essere a loro completa disposizione. In genere è difficile affrontare la perdita di un amore che si è vissuto con senso di appagamento e come realizzazione di un proprio sogno. La perdita non voluta dell’altro porta alla conseguente perdita di parti di sé (spesso le migliori) che sull’altro erano proiettate. Il suo abbandono dà luogo ad un dolore profondo, ad una perdita di senso della vita. Una persona dotata di una buona autostima e sicurezza di sé, costruita sulle basi di un buon “attaccamento”, dopo un adeguato periodo di “lutto amoroso” riuscirà ad accettare l’abbandono e superarlo. L’adulto dipendente, invece, vive la possibilità abbandonica come qualcosa di assolutamente intollerabile che lo indurrà ad una ricerca estenuante di ripristino di quell’unione, senza la quale non può vivere, che portata all’estremo con attività di stalking, attraverso comportamenti molestanti, assillanti e continuativi, può conclamarsi nel cosiddetto “omicidio passionale”. Lucido e mai improvviso, l’omicidio passionale, diversamente da quello d’impeto, è l’atto di possesso più spregevole e definitivo nella patologica “sete d’amore”. Nessuno uccide senza motivo e quelli che agli occhi di un osservatore potrebbero sembrare motivi banali, per l’autore dell’omicidio hanno sempre un senso profondo legato alla propria storia e alla storia di coppia. E’ necessaria quindi una seria riflessione sull’animo umano e sulla complessità del suo sentire, sulle innumerevoli ambiguità, conflitti e contraddizioni che lo caratterizzano. I nostri sentimenti non sono così lineari e ben definiti. Ciò non significa che queste persone non vadano fermate ma una volta fermate e “punite” vanno anche aiutate. Questi episodi di cronaca devono almeno servire come opportunità, triste opportunità, per poterci seriamente interrogare, capire ma forse, un giorno, anche prevenire. Perché si possa insegnare ai ragazzi non solo cos’è la sessualità ma anche cosa significa essere bravi genitori. Cosa significa amare. Bisogna imparare ad amare in modo diverso. Un amore vivo, presente, dove sia ammesso il possesso ma non la “proprietà”. Imparando così ad amare e, forse, anche a separarsi. Separarsi con diritto e dignità. La stessa dignità di un tempo, di quell’amore andato perso.