
Mentre si accendono le luci in città e tutto intorno brilla in una calda atmosfera ovattata, c’è chi non sorride. Tra la gente, in silenzio, prova una sensazione indefinibile che si trasforma in ansia, tristezza, fino a dargli struggimento. Eppure è Natale! Dov’è finita la felicità di quando era bambino? Gli spot in televisione, l’entusiasmo dei bambini in attesa dei regali, i preparativi dei familiari, tutti sembrano gioire ma lui ha nel cuore il gelo e, sotto l’albero, il vuoto. Si sente a disagio, inadeguato perché non è felice come l’occasione richiederebbe. Se solo avesse la possibilità di sparire, lo farebbe. Così cerca tutte le scuse possibili per giustificare il proprio stato d’animo: il consumismo, l’ipocrisia, la commedia del volersi bene. Il Natale sembra avere un altro volto per lui: quello amaro della solitudine, della tristezza. Volto reso ancora più acuto e doloroso per il contrasto stridente con la felicità, più o meno vera, degli altri. Si chiama “Christmas blues”, la melanconia del Natale che, con la sua atmosfera, ha il potere di amplificare il nostro stato d’animo facendoci tornare un po’ bambini, meno disposti ad indossare maschere per nascondere le emozioni più profonde. Il Natale ci invita a riflettere sulla nostra vita, sulle persone che abbiamo accanto e che abbiamo perso, sulle delusioni vissute e i cambiamenti che vorremmo. Il dolore impalpabile e indefinito che a volte ne consegue, ci porta così a vivere pesantemente queste giornate cariche di aspettative. Un tour de force di visite obbligate, sorrisi di circostanza, buoni sentimenti forzati, il tutto magari preceduto da una frenetica corsa ai regali. Ulteriore fonte di stress specie per chi, a causa di un lavoro precario o che non c’è più, si avvicina a vivere un Natale di crisi. Ma la “famiglia artificiale” prevale su quella di tutti i giorni. Una vera e propria recita collettiva che si è chiamati ad onorare come attori obbligati nel proprio ruolo di figlio, nipote, genitore, nonno, anche se magari si attraversa un momento in cui non si è capaci di dare agli altri il meglio di sé. Costretti a condividere con parenti lunghe giornate di festa, cene, rituali nei quali ci si sente estranei e a disagio. Così si attende il nuovo anno come una sorta di liberazione, non dall’anno vecchio ma dalle feste. Le tradizioni però, danno significato e continuità al nostro vissuto, pertanto più che negarle, dovremmo imparare a viverle! “Non vi è nulla di più triste che svegliarsi la mattina di Natale e non essere un bambino”. Niente di più vero. Ci aspettiamo quella felicità che abbiamo vissuto da bambini e quando non arriva, ci sentiamo delusi. Adulti schiacciati da convenzioni che obbligano a badare più alla quantità che alla qualità. Dimenticando che ciò che bisogna curare è lo “scambiare” non il “riempire”, ora di cibo, ora di regali o di persone. Il gusto della condivisione si può ritrovare solo scegliendo con chi vogliamo stare e dove stare. Allora forse, alla fissità dei nostri ruoli, dovremmo imparare a rispondere con una maggiore flessibilità delle emozioni, per uscire da una ritualità che non sentiamo nostra e trovare modi nuovi ma “sentiti” per celebrare il Natale. Ci basterebbe entrare in sintonia con chi ci sta vicino cercando ciò che di buono si può trovare in ognuno e ritagliare uno spazio tutto per noi, in cui poter essere tristi senza soffocare le nostre emozioni. Ascoltare se stessi è, senza dubbio, il regalo migliore che ci possiamo fare. Buon Natale!
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